Cala la notte il cuore pensa

källa: Willyco in alto, senza parere

La notte cala in fretta e l'aria sperpera il calore del giorno. È generosa l'aria, ha refoli di scirocco che addolciscono i pensieri. Fa pensare all’oriente pacificato, alle sere lunghe con il sole che tramonta sul mare. Fa pensare all'Africa quando il sole cade all’improvviso e la notte avvolge come gli scialli di garza corpi e volti delle donne. È l'ora in cui i profumi prendono coraggio, escono dai succhi delle piante, dai muri di argilla cruda arroventata, dalle canne dei tetti, dalle terrazze bianche di calcina. Si spargono nella notte pacificata che s'allunga come animale che si sveglia, contorna di sbadigli l'attenzione e poi s'accoccola vigile. In attesa della vita che comincia nella notte.

Ma l'oriente non è pacificato e neppure l'Africa. Qui vivono nelle città sotto assedio, nei campi di raccolta e di tortura, nel deserto dove chi ha gambe cammina e s'avvicina a frontiere inesistenti o muore. La notte porterà la tregua del fresco e la paura del buio, perché nel buio non si sa dove scappare, fuggire, andare. Nel buio albergano sentimenti neri dove non c'è pace, i bimbi si stringono alle madri, gli uomini cercano il coraggio da trasmettere e non hanno alternative. Amore e coraggio assieme, parole sulla carta, energia indispensabile per vivere dove la notte non è pacificata.

Non qui mentre cammino tra case sicure, la luna è piena e lo scirocco porta ricordi d'altri luoghi. Non qui dove c'è un luogo in cui tornare mentre altrove non si sa dove fuggire.

Così scende la notte e una tristezza senza remissione, penso al popolo Curdo, a chi attende un barcone e presume una comprensione e solidarietà che sarà difficile o assente. Penso all'inadeguatezza del fare e l'indispensabile necessità del sentire perché non si annulli il bello assieme al brutto del mondo.

Penso che per odiare bisogna togliere all'altro la capacità di amare, di considerarlo meno che umano e così scompare l'umanità e l'amore da chi odia, per paura, potere, calcolo nefasto. Un io ipertrofico che riassume il male proprio e altrui. Non resterà nulla oltre la scia di sangue, il terrore suscitato, l'arbitrio perpetrato. Ordini, distruzione e male che generano paura, perché solo nella paura l'arbitrio trova il suo esistere. Umani che producono l'inumano. E grida, terrore, dolore infinito che si sparge senza ritegno, ma da dolore nascono ragioni al dolore futuro, anche se troppo spesso lo si scorda.

Nelle strade ci sono le luci, le persone parlano tranquille, qui l'io s'adagia nella pacificata abitudine. Chissà se nell'aria tiepida, ascolta il grido che affolla il mondo. 

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ANCORA CALDI

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