Non ho il permesso per scrivere di guerra


Lunedì mattina, guerra in Europa, che pena. Sono sveglio di notte e seguo in tempo reale le notizie. Guerra, una parola che suona davvero così, spigolosa, come una strana malattia. L'Europa è malata. Stanotte ho provato a scrivere di guerra. Ma non sono stato capace. Non mi sento di avere le idee chiare. Non capisco. E non per ignoranza o voglia di mantenere le distanze. Quello che capisco é che c`è un popolo e uno, e uno vicino che lo invade. É una paura vecchia la mia che mi porto dietro da quando ero bambino e nasce dal fatto di essermi sempre sentito fuoriposto ai funerali. Perché il mio dolore non è mai quello dei parenti. Solo al funerale di mia madre mi sono sentito legittimamente al mio posto, giustificato a soffrire quanto volevo, senza paura che la mia sofferenza potesse essere fraintesa.

É quello che sento adesso. Non ho il permesso di scrivere. Perché non ne so niente, non ho idea di come si viva con la paura di un bambino che dorme nel freddo della metro, non so cosa voglia dire temere per la propria vita o quella degli altri.
Eppure l’Ucraina è vicina a noi, il mio amico Lajos ieri mi ha chiamato, vive in uno stato confinante, ed è Europa, dove vive lui, quella vecchia cara ignorante Europa incapace di parlare di politica, di cultura perché presa e distrutta da una politica barbara e senza idee.

E comunque non riesco a scrivere niente. Perché, in fondo, mi vergogno. E allora continuo a scrivere della vita normale, che è quella che faccio ogni giorno, con un pensiero, sempre, sì, a chi vive nel dramma di non poter vivere una giornata normale come la mia, ma senza una reale comprensione del peso vero degli eventi, del dramma, della paura.

Scrivo di passeggiate, di fisioterapia, di piccole cose noiose. 

Forse di sport.

Sono arrivato a fare 10 minuti di seguito di cyclette e sono molto soddisfatto.

E mentre pedalo sento il peso dell’assurdo.
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ANCORA CALDI

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