Autunno 1965
Guardavo la fatica di chi doveva apparire, essere altro da sé e sorridevo. Quelle fatiche, quel non coincidere con i sogni propri ma con quelli altrui mi parevano una prigione spacciata per sicurezza e libertà. Non provavo invidie e non mi mancava ciò che non era mio. Poi la parte più ricca di sogni s’addormentava, facevo i conti con gli obblighi, vedevo passare davanti quelli a cui non avevo voluto pestare i piedi, il mio tempo sembrava appartenere ad altri. Mi restavano l’amore e le passioni che incessantemente si generavano, e con esse la forza per superare il grigiore delle abitudini e ricordarmi chi ero. Non ero una rimasticatura di realtà, non mi accontentavo del possibile e non facevo conti. Oppure li facevo ma sapevo che era una fase transitoria e che il tempo per correre sarebbe tornato. Non ho rubato nulla che non fosse mio. Chissà se tutti possono dirlo. E, spesso, mi sono lasciato derubare. Non è stato sempre facile ma ho permesso che idee, impegni e fatiche fossero merito d’altri. Non sono né un santo né un eroe, semplicemente non m’importava purché non toccasse la mia possibilità di sognare il nuovo e il vecchio fusi assieme.
Ora che sono vecchio e decido spesso che fare, che mi rifugio ed esalto nei libri, che ascolto più il cuore della ragione, guardo i miei coetanei che cercano ciò che hanno e lo gettano via pensando di essere ancora dei buoni produttori di rottami. No, non è così, sono rimasti intatti i sogni da sognare ma quelli usati sono finzione, realtà bisognosa di identità. I sognatori sono solitari che vogliono stare assieme ma non lo pretendono, hanno bisogno di parole che abbiano lo stesso senso nell’incontrosennò si annoiano, devono vedere la nudità dell’ altro per mostrare la propria e hanno una caratteristica che li salva, non giudicano perché essere assieme è una scelta d’ amore.
Voglio la campagna, la terra da arare, un po di calore!
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