La bicicletta

Questi tempi ci offrono delle novità impensate anche nelle piccole cose.

Non parlo della rete di internet, computer, cellulari, l’elettronica applicata su ogni congegno, in questo caso mi riferisco semplicemente ad un oggetto comune come la bicicletta, utilissima per gli spostamenti, semplice, ecologica, compagna fedele che ci accompagna tutta la vita, dall’infanzia alla vecchiaia.

L`avevo dimenticata. Credevo fosse andata perduta, invece l`ho ritrovata in fondo al garage di mia figlia tra una vecchia credenza con vetrina rotta e una sedia con tre gambe.

Ho subito avuto voglia di fare un giro, prima di correre al lago (si fa per dire...) C`era solo di rimettere a posto sul cerchione un copertone della gomma bucata.

Un gioco da ragazzi, avevo pensato io, cose che ho sempre fatto in campagna dall’età di dieci anni.

Così mentre in casa mia figlia infornava pane fresco per nipotini affamati continuando ad impastare acqua e farina tipo mamma tutto fare! Io nel giardino con una borsetta degli attrezzi mi accingevo all’opera.

Dunque, è semplice, se non sbaglio basta infilare un fermo tra copertone e cerchione,fai scorrere dalla parte opposta un cacciavite o un pezzo di plastica dura, tiri, sforzi, tendi e a dieci centimetri dal loro ricongiungimento tutte le tue levette ti saltano dalle mani.

Riprovi, cerchi di girare la ruota per migliorare la presa, ti ungi le mani con l’olio della catena che ti incastra le dita e ottieni il medesimo risultato.

Bisogna anche capire che le due ruote, il sellino, il triangolo del telaio e il manubrio erano compattate tra loro in un groviglio intricato.

Dopo molti tentativi fallimentari, sempre più sporco di grasso e la fronte gocciolante di sudore, mia figlia gentilmente è uscita fuori per portarmi uno sgabello, commentando che anche loro in precedenza ci avevano provato inutilmente.

“ Uffa...! Gioventù moderna! Da ragazzo io …”

Parole sprecate, quel maledetto copertone sembrava essersi trasformato in una biscia furente e scivolosa, lo fissavi da una parte e saltava dall’altra con un guizzo improvviso.

“ Cosa mi succede ? – mi sono chiesto perplesso – sessanta anni fa ci riuscivo in pochi minuti. Un paio di settimane fa avevo cercato di cambiare l’olio dell’auto, strisciandovi sotto come un verme e per la prima volta dopo cinquant ’anni di pratica non ci ero riuscito per quanti sforzi facessi. Vuoi vedere che sto diventando vecchio ?”

Mentre seduto sullo sgabello mi perdevo in queste considerazioni filosofiche sulla precarietà dell’esistenza, la mia bambina è uscita ancora una volta dalla porta finestra, chiazzata di farina bianca, con un caffè in mano per nonno disperato e come un angelo candido mi ha annunciato che, nel caso, in fondo alla discesa della strada esterna, verso il centro, girate due o tre stradine, c’era un negozio di ciclista.

Qualcuno magari si sarebbe posta la domanda sul perché sia lei che il caro genero non ve l’avessero portata da qualche anno prima, ma io che sono uomo di pensiero, o se volete tardo nell’agire e nel capire, ho apprezzato che avessero aspettato l’aiuto di un nonno vaccinato e ho soppesato le due possibilità conseguenti.

Una era quella di seguire l’orgoglio dell’uomo faber, che tutto può fare con la dovuta determinazione e concentrazione, l’altra  quella di scegliere la logica minimalista e codarda, consistente nell’affidarsi ad un tecnico più giovane ed esperto.

Mentre mi riposavo e stropicciavo le mani sporche per cercare di pulirle, ungendomi ancora di più, devo ammettere con vergogna che alla fine mi sono rassegnato alla seconda soluzione.

Così, sollevato quel pesante pacchetto metallico, ho infilato la porta e sono uscito in strada.  Fatti pochi metri di quella ripida discesa mi sono chiesto “ Perché faticare ?”.

Il mio genio ha prevalso: ho cercato di staccare il manubrio, guardando dove fossero le viti e bulloni, poi ho provato a districare una ruota, ma non ci sono riuscito, l’ho rimessa a terra, cercando di sollevarla e mi è rimasto in mano il sellino. Ho svitato il tubo del sellino e smontata la ruota posteriore.

Sempre più confuso e affannato ho infilato il complicato groviglio di tubi nel Pandino e sono partito cercando di non perdere qualche pezzo per strada dato che il portellone posteriore non si era chiuso completamente.

Appena giunto in quel luccicante negozio, che esponeva nelle vetrine una superba esposizione di lucide e fiammanti biciclette di gran marca, devo aver suscitato un’immediata compassione, forse anche per la mia età, forse per lo stato pietoso in cui mi trovavo con quell’intrico di tubi e ruote tra le mani, così, invece di telefonare alla polizia, il distinto commesso ha chiamato un giovane robusto dal retro che ha portato via la ferraglia.

Dopo cinque minuti è ritornato con una vecchia bicicletta funzionante in cui svettavano un manubrio e un sellino nuovo fiammante, mentre il vecchio porta bambini era rimasto saldamente al suo posto.

Ho dovuto lasciare il Pandino. Senza smontarla di nuovo non ci sarebbe entrata. Ho pagato quattrocento corone e rifatto tutta la salita, a piedi ovviamente, per quella salita del 30% di pendenza, stanco ma trionfante.

Questa sera mia figlia, alla vista del suo destriero funzionante, è rimasta stupita e meravigliata: “ Ma come ci sei riuscito papà ?”

Io ho sorriso compiaciuto, con i baffetti che fibrillavano come un gatto che si fosse appena pappato un topolino.

Una ventina di secondi di gloria, mantenendo un orgoglioso silenzio, poi ho dovuto raccontare come si erano svolti i fatti.

“ Ah, ah,ah, scommetto che ti avranno preso per un ladro di biciclette – si è subito sganasciata lei – Povero il mio papà, vieni qua che ti strizzo, ciccione ! Sei grasso, grasso, grasso!”

Mi sono sentito come un tubetto di dentifricio.

Se non esco con le costole rotte da questa sera d`estate vuol dire che i tanto vituperati rotolini adiposi a qualcosa sono serviti.

Alla prossima.❤

ANCORA CALDI

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