L`Estate secondo me
Ecco, quando ero ragazzo per me l’estate iniziava quando la corriera prendeva la strada che costeggiava il dirupo, il paesaggio si faceva verde scuro e gli alberi cedevano il fresco delle loro radici umide. L`autista faceva due volte bip col clacson per avvisare del suo arrivo ai pochi abitanti sull`unica piazza del paese la dietro la curva, due bip vicini, allegri. Qualche volta incrociava una signora con il suo asino, in mano un bastone e in testa un fazzoletto, entrambi facevano un impercettibile gesto di saluto. Cortesie da contadini. Quando leggevo “sant`Apollinare” sulla pietra della chiesa sapevo di essere arrivato, l’estate iniziava lì ed era piena di terra e cugini ruzzolanti, ci si lavava poco e le nostre ginocchia erano nere e verdi di erba, le guance rosse di sole. Nei campi cantavamo forte per allontanare le vipere, una volta ne vidi una, mi guardò negli occhi e non feci in tempo a fiatare che era già sgusciata via nel fitto del grano. Il caldo me lo ricordo più di tutto, il sudore restava sempre attaccato a grumi per l’umidità e invece della tv c’era il camino, i mondiali e gli europei li sentivamo per radio. Giorni di farfalle e sere di falene. Mi chiedevo perché le farfalle piacessero a tutti e le falene a nessuno.
Due mesi interi con una maglietta e un paio di pantaloncini corti e si giocava a nascondersi fin dove si perdeva lo sguardo. C’erano i miei amati cugini con cui imitare le gesta dei cowboy d`America. Loro non vendevano i cocomeri al mercato, noi i cocomeri li mangiavamo immergendoci la faccia, sputazzando lontani i semi e ridendo. Nei miei ricordi è una risata che tintinna come i cristalli del più bel lampadario e ogni cristallo fa un piccolo arcobaleno sul muro. Così ride anche la mia nipotina, arricciando il naso e strizzando gli occhi (e c’è bisogno di tutta la quotidianità e c’è bisogno di noia e stanchezza e incazzatura quotidiana per distrarmi da quella risata, che vivere solo di quella, alla fine, ad un nonno non reggerebbe il cuore).
Un giorno a sant`Apollinare si presentò un postino, raggiunse la nostra aia come una visione, portava una cartolina e la cartolina era per me, zia Lucia gli offrì dell’acqua manco fosse un partigiano in fuga. Era la mia prima cartolina d’affetto, mandata da una ragazzina con le orecchie a sventola e la coda di cavallo, l’adolescenza mi aveva raggiunto anche lì, nella casa dello zio Giovanni. L’anno dopo quel casolare di campagna non mi parve bello uguale. L’infanzia è un posto dove farfalle o falene, non fa differenza.
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