Lo sapevano tutti che era stato Mimmo
Lo sapevano tutti che era stato Mimmo, cioè lo sapevo io e lo sapeva lui. Dalla mia collezione di soldatini mancavano due indiani e un cowboy, i miei preferiti: i primi due perché impugnavano il fucile e l’ultimo, il bianco, perché indossava una splendida camicia blu. Loro tre non morivano mai, potevano cadere da cavallo, subire torture, essere feriti, affrontarsi in duelli interminabili ma poi, quando era il momento di decretare il vincitore, speravo sempre nell’arrivo di mia mamma, a interrompere il gioco:
“Su, metti a posto, c’è pronto a tavola!”
E i miei eroi la scampavano.
Non sfuggirono però alla mano lunga di Mimmo, quel giorno che venne a casa mia, proprio per giocare con i soldatini.
“Io tengo i cowboy” disse lui.
A me stava bene, preferivo gli indiani, mi piacevano di più le loro facce. Quelle dei cowboy, a parte il mio preferito, erano tutte uguali fra loro e identiche a quella del maestro Polito. Se n’era accorto anche Mimmo:
“Ehi, guarda! Non sembra il maestro questo qui?”
“Sì, è lui!”
“E allora facciamo che tu lo legavi al palo della tortura e poi ci bruciavi i piedi e gli strappavi la camicia e con la lama del coltello gli facevi i disegni sulla pancia!”
E andò così, per un paio di ore ci divertimmo a torturare i soldatini che assomigliavano al maestro, e a uno dipingemmo i baffi per renderlo uguale al bidello. Poi, al termine della battaglia, rimasero in piedi solo i miei preferiti e fu ora per Mimmo di tornare a casa. Presi il fustino vuoto del detersivo e lasciai cadere dentro i soldatini, aiutato dal mio amico. Non ci giocai più per una settimana ma poi arrivarono le vacanze natalizie e, sapendo di avere molto tempo a disposizione, preparai un campo di battaglia ricco di montagne, fiumi, canyon, paesi… c’era tutto, anche il lago Michigan creato con una pentola colma d’acqua. E fu quel giorno che mi accorsi che i conti non tornavano.
“Lascia perdere, te li ricompro” disse mia madre quando a cena mi vide con il muso lungo.
“Ma sono i miei preferiti!” protestai. “Non doveva rubarmeli”.
“Forse li ha presi solo in prestito. E poi lo sai, la famiglia di Mimmo non è tanto fortunata, forse lui non ha neanche un giocattolo” disse mia madre, che conosceva bene la madre di Mimmo e qualche volta andava a casa sua per portarle abiti dismessi e altre cose.
“E allora poteva chiedermeli!”
Tuttavia l’arrabbiatura mi passò presto, proprio il giorno dopo, quando sul tavolo trovai una confezione nuova di soldatini e dentro c’erano i miei preferiti, ancora più belli, nuovi, colorati di fresco. Dimenticai il furto di Mimmo e giocai per tutte le vacanze.
Quando rientrai a scuola Mimmo non c’era, si era preso l’influenza i primi giorni dell’anno ed era ancora convalescente. Sua madre chiese alla mia se potevo portargli i compiti e allora, un mercoledì andai da lui. I miei avevano ragione, la famiglia di Mimmo non viveva in una bella casa e c’erano bimbi che giravano dappertutto, abiti per terra, tende strappate e perfino due gatti.
Rimasi un po’ con lui, poi lo lasciai riposare. Mentre stavo per uscire, uno dei più piccoli mi prese per mano.
“Hai visto il nostro presepe? Vieni a vederlo”.
A me non piacevano i presepi ma mi feci trascinare e fu una buona cosa perché non ci misi molto a scoprire che sotto i pezzi di stoffa colorata dei tre re magi ci stavano i miei eroi. Ebbi un sussulto, stavo per afferrarli e dire:
“Sono miei! Mimmo, sei un ladro!”
Ma non lo feci, mi ricordai delle parole di mia madre e pure del fatto che a casa ne avevo di nuovi. Però, in quel presepe c’era una cosa che non quadrava: un solo pastore governava molte pecore.
Fu un gesto rapido, nessuno mi vide: presi tre pecorelle e le infilai nella tasca. Nel ranch dei miei cowboy c’era carenza di agnelli.
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Scrivere per gioco. Buonanotte.