15 agosto


Domani sarà ferragosto e penso con nostalgia a quanto io sia stato un bambino fortunato. Ho passato molte di queste festività al casolare dello zio Giovanni in una specie di ultimo ritaglio di un mondo che non esiste più. 

Al casolare ero sostanzialmente libero, non c’erano pericoli (e c’era la consapevolezza che fossi una bimbino oltremodo prudente) e non c’erano recinzioni. Tutto quello che lo sguardo conteneva apparteneva agli zii, ma di fatto era di noi bambini. Ovunque io potessi arrivare a piedi era mio. Mia la strada polverosa per andare al perse, mio il ruscello confinante con i vicini, mio il molino di sant' Apollinare, mie le piane dell’uliveto fino su in cima al colle, mia la vigna di zia Lucia, miei i campi dove stendeva i panni. 

Era in questi grandi spazi che giocavo, da bambino, in cerca di consolazione perché sentivo che sarebbe finito con l'inizio della scuola e il ritorno alla Piccola Città. 
E come un calendario ben organizzato, la consolazione arrivava un giorno dopo l’altro. 
Già all’inizio di agosto le pesche aiutavano ad allontanare i cattivi pensieri. Poi arrivavano le more selvatiche, dopo il 15, da mangiare, da mettere da parte, da farne marmellata. 
Le more venivano piano piano sostituite dall’uva: c’era un filare in fondo al campo dell'erba medica, una specie di moscato che mi contendevo con le vespe, ma anche uva bianca, e uva fragola alla vigna del vecchio Antoniuccio. 

Quando i suoni della vendemmia si avvicinavano e minacciavano le mie merende arrivava il tempo dei fichi. Il mio preferito era dopo il pascolo delle mucche dove mia madre mi portava tutte le mattine a fare colazione con pane e fichi. Non capivo quelli che sbucciavano i fichi. La ritenevo una perdita di tempo, ci si sporcava le mani, non si sapeva dove buttare le bucce, che restavano lì, a testimonianza di quanto mi ero abbuffato. 

A malapena accettavo di aprirli, e dare un’occhiata, dopo che mia cugina Amelia mi aveva raccontato una delle sue terrificanti e didattiche storie di bambini golosi, che avevano mandato giù vespe nascoste nei fichi (ma come facevano quei demoni, a passare da quel buchino?) ma il picciolo era l’unica cosa che mi restava fra le mani, e quello era facile farlo sparire fra l’erba. Dopo il 15 agosto finivano le vacanze e si ritornava a casa. 

Così andavano i calendari a quei tempi, da un frutto al successivo, fino a che l’anno non faceva la sua capriola e si poteva ricominciare a sognare. 
Buon ferragosto a tutti anime belle! 
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ANCORA CALDI

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